La prestigiosa rivista medica JAMA, in un suo articolo recente “The Mental Health Consequences of COVID-19 and Physical Distancing. The Need for Prevention and Early Intervention” , ha evidenziato che il distanziamento sociale prolungato potrebbe portare a dover affrontare problemi psicologici importanti[1], come la cosiddetta Sindrome da Stress post-traumatico così come anche accentuati problemi di ansia, depressione e abuso di sostanze. Il punto di partenza è che ad oggi non sono presenti in letteratura studi corposi riguardo l’isolamento sociale prolungato, tuttavia sono presenti dati piuttosto consistenti relativamente agli effetti psicologici delle calamità o periodi di crisi su vasta scala. È qui che si inserisce sicuramente la fase 2 della crisi COVID-19, ovvero in un momento dove si avvertono le minacce e le conseguenze dello stop, seppur temporaneo, delle attività economiche.
La sindrome da stress post traumatico, definita anche come disturbo o letteralmente disordine (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD) è un quadro sintomatico specifico, riconoscibile ed è inserito nei manuali diagnostici. Si tratta appunto di qualcosa che si manifesta in conseguenza a una lunga esposizione allo stress postraumatico, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte o più semplicemente una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
Guardando alla sintomatologia si possono riconoscere delle caratteristiche distintive, infatti si parla di:
● Immagini, pensieri, o percezioni, talvolta incubi e sogni spiacevoli.
● Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando.
● Disagio psicologico intenso o forte reattività fisiologica all’esposizione verso fattori scatenanti interni o esterni che richiamano o assomigliano agli elementi dell’evento traumatico.
● Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale.
● Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
● Irritabilità o scoppi di collera.
● Difficoltà a concentrarsi.
● Ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.
Come si può notare si tratta di sintomi molto trasversali che spesso possono dare l’impressione di essere legate a situazioni più contingenti, si pensi alla difficoltà a concentrarsi, all’ipervigilanza e all’irritabilità.
Tutto ciò potrà essere presente anche sul posto di lavoro, ricollegandosi anche ad altri fenomeni come l’assenteismo, maggiori richieste di malattia, maggior irritabilità, fenomeni violenti e anche a uno “strano” disagio diffuso.
Bisogna in ogni caso sottolineare che la Fase 2 della gestione della crisi COVID-19 è una condizione nella quale la crisi sanitaria non è del tutto superata e con la quale bisognerà convivere ancora per un tempo indefinito. Questo per indicare che esiste una condizione di “convivenza forzata” con il problema del contagio, fungendo ovviamente da stimolo ansiogeno.
Per poter gestire efficacemente il rientro e la riapertura delle attività lavorative in sicurezza è necessaria una consapevolezza sia sul piano individuale, sia su quello organizzativo dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro. Ricordiamo che i rischi psicosociali derivano da inadeguate modalità di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro e da un contesto lavorativo socialmente mediocre e possono avere conseguenze psicologiche, fisiche e sociali negative, come stress, esaurimento o depressione connessi al lavoro[2] .
Infatti è possibile intervenire o creare un insieme di strategie per limitare gli effetti stressogeni che la situazione si porta appresso per sua natura, ed anche gestire efficacemente le situazioni di stress individuale e organizzativo che ne derivano.
Vediamo alcune semplici indicazioni che possono essere da stimolo-guida all’interno delle organizzazioni per supportare il benessere psicologico al suo interno.
1. Aumentare la comunicazione interna
Informare i collaboratori e condividere le strategie adottate per impedire il contagio all’interno dell’azienda. Questo è un primo passo per lenire l’ansia da ritorno, ma non solo poiché lavorare sulla comunicazione interna ha dei vantaggi molteplici: creare e/o rinforzare un sistema efficace ed efficiente di trasmissione delle informazioni (sia in termini di mezzi che di contenuti) assicurandosi che il flusso comunicativo sia effettivamente recepito dai vari target; gestire le persone come veri e propri “clienti interni”; sviluppare la motivazione e la proattività individuale e di gruppo; migliorare le relazioni interne sviluppando il senso di appartenenza e fiducia; favorire l’approvazione e l’accettazione delle scelte aziendali da parte dei collaboratori; implementare una cultura e un clima di condivisione degli obiettivi comuni; gestire al meglio le situazioni di crisi management; ridurre la conflittualità[3] .
2. Identificare persone di responsabilità
Identificare una persona o un team che sia responsabile della comunicazione riguardo la sicurezza e la salute dei collaboratori e anche delle nuove modalità di lavoro. Questo rappresenta un primo livello di garanzia all’interno dell’impresa, in quanto va a identificare le persone chiave per una comunicazione interna efficace. Qualsiasi intervento in emergenza, e ricordiamolo le aziende sono in emergenza anche in Fase 2, presuppone l’individuazione dei leader di comunità, ovvero di quelle figure di riferimento riconosciuti da una certa comunità, con i quali interloquire per arrivare a tutta la comunità. Nel caso in questione, si dovrebbero identificare, all’interno del contesto aziendale, i leader comunicativi, ovvero quelle persone riconosciute informalmente come punti di riferimento a cui chiedere informazioni o notizie. Ciò renderebbe la comunicazione interna più fruibili e più accettata “dal basso”.
3. Avvalersi della collaborazione di uno o più professionisti esterni
Avere un punto di vista esterno facilita l’individuazione di quei punti critici che spesso risultano camuffati o sommersi. In questi casi i professionisti esterni possono “leggere” la realtà aziendale in modo più oggettivo in modo da intervenire più efficacemente, in base alle specifiche competenze. Ad esempio, spesso le difficoltà non vengono condivise all’interno dei gruppi di lavoro, specie se si tratta di disagi che hanno uno sfondo psicologico. Questi disagi spesso si manifestano come rabbia, frustrazione, svogliatezza e scarsa attenzione alla sicurezza.
4. Implementare strategie di gestione dello stress
Lo stress ha molteplici forme, sia fisiche che mentali, basti pensare ai turni di lavoro, ai rapporti con i colleghi, alle paure legate alla vicinanza fisica. Lo stress rientra nei rischi psicosociali presenti in azienda e l’esposizione prolungata a stimoli stressanti rappresenta un fattore potenziale di rischio per molte patologie, incluse quelle psichiatriche o cardiovascolari. Per questa ragione, prima che questo stato si cronicizzi in una forma “invalidante”, è importante mettere in atto azioni strategiche che possano ripristinare una condizione di equilibrio psicofisico e che possano darci la sensazione di aver recuperato il ‘controllo’ della situazione. Da alcuni studi si rileva che, rispetto ad altre situazioni di emergenza sanitaria come per esempio le catastrofi naturali, i fattori di rischio che possono contribuire ad accrescere lo stress psicofisico degli operatori durante un’epidemia sono proprio l’isolamento sociale, dovuto alle misure di distanziamento e quarantena o in alcuni casi alla discriminazione, e l’assenza del sostegno familiare a causa del pericolo di contagio[4].
La ripartenza nella Fase 2 presuppone un coinvolgimento attivo dei dipendenti nella progettazione di strategie efficaci per la gestione dello stress[5] : a) comunicare apertamente: invece di costringere i dipendenti a indovinare cosa potrebbe essere in serbo per loro, è opportuno essere assolutamente chiari sulle azioni strategiche da mettere in atto; b) condividere il dolore: se si stanno effettuando tagli per ridurre le perdite di posti di lavoro, è opportuno dare l’esempio e fare tagli che incidono anche sul quotidiano della dirigenza; c) ascoltare le idee dei dipendenti: è fondamentale chiedere ai dipendenti di esprimere le proprie idee, ciò migliorerà il clima e il commitment; d) rivedere tutte le opzioni (anche quelle meno convenzionali): prima di arrivare al licenziamento, sarebbe opportuno considerare tutte le opzioni, anche quelle non ovvie per ridurre i costi; e) agire in modo saggio: controllare ciò che avviene sia all’interno, sia all’esterno dell’azienda in modo da “anticipare i tempi” per riadattare in modo snello la propria idea di business.
In conclusione, le sfide imposte da questa pandemia ci stanno mostrando solo la punta dell’iceberg. Mai come ora è opportuno mantenere calma, analizzare le proprie risorse, riadattare i propri obiettivi e fare rete. L’emergenza è il caos che irrompe nel nostro cosmos, è la destrutturazione della rete, l’unico modo fattibile e sostenibile per affrontare il caos è rispolverare e valorizzare le competenze. Rinnovarsi, letteralmente innovarsi di nuovo, vuol dire apprendere cose nuove e ciò è possibile e fattibile solo se ci si rivolge alle competenze.
[1] https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2764404
2]https://osha.europa.eu/it/themes/psychosocial-risks-and-stress
[3] Cfr. Cocco, G. (2012) “La Comunicazione interna. Strategie e strumenti psicosociologici per le organizzazioni motivanti”. Il Mulino.
[4]https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-gestione-stress-operatori
[5]https://hbr.org/2020/03/the-coronavirus-crisis-doesnt-have-to-lead-to-layoffs