23Feb

Business Intelligence… sappiamo cos’è?

Tutti vorremo sapere cosa accadrà domani riguardo al nostro business. La Business Intelligence consente di delineare con maggiore dettaglio nuovi scenari che possono portare alla sua definizione.
Il concetto di Business Intelligence (BI) può essere facilmente così sintetizzato: trasformare il dato in informazione e l’informazione così ottenuta in conoscenza immediatamente condivisile. Diventa subito chiaro come questa «conoscenza» sia il valore, quasi una materia prima, che ogni impresa deve quotidianamente ricercare con strumenti avanzati. È quindi compito degli strumenti di Business Intelligence di attivare quei processi di raccolta e analisi dei dati al fine di offrirne più chiare rappresentazioni visive, migliorandone la comprensione e condivisione.

All’atto pratico gli strumenti di Business Intelligence permettono di individuare velocemente nei dati comportamenti anomali, criticità, monitorare prestazioni ed effettuare confronti e, non certo ultimo per importanza, fare previsioni. Niente di nuovo sotto al sole per chi opera sui fogli di calcolo, ma la facilità con cui i software di BI possono rispondere in modo sempre più approfondito alle nuove esigenze dei manager non ha termini di confronto.
La selezione e valorizzazione del dato rimangono, come sempre, i punti focali di ogni sana strategia per portare l’azienda verso l’obiettivo tanto desiderato: divenire un’impresa Data Driven. Per fortuna gli strumenti di Business Intelligence non solo possono comunicare con piattaforme e sistemi già presenti in azienda ma, sempre più spesso, ne fanno parte. Sfruttare software così completi permette di monitorare tutta la catena produttiva. Soluzioni di Business Intelligence fanno attualmente parte di piattaforme ERP , MES , PLM e logicamente anche CRM, Customer Relationship Management, per la gestione della clientela.
L’integrazione della Business Intelligence con gli strumenti ancora più avanzati di Intelligenza Artificiale permette di definire una nuova frontiera per l’analisi dei dati, soprattutto in ottica di intervento predittivo.
A queste sfide, si aggiunge la necessità di ottenere un numero di risposte sempre maggiore nel minor tempo possibile, cercando di ridurre i tempi di latenza tra richiesta, elaborazione e risultato.

Visto il grado di interattività consentito dagli strumenti di Business Intelligence è quasi naturale parlare di analisi self-service. Occorre però precisare che ci troviamo in presenza di programmi che richiedono, per essere utilizzati in completa autonomia, una buona conoscenza di base di data analysis.
Per facilitare l’accesso ai dati è possibile realizzare dashboard che includano elementi interattivi come filtri e pulsanti di azione per combinare tra loro, in modo ancora più intuitivo, report e grafici.

Fonte: https://www.digital4.biz/executive/business-intelligence-che-cose-e-il-valore-per-le-imprese/

16Feb

Per trovare lavoro bisogna saper fare tutto?

Il grave errore di presentarsi come tuttologi, camaleonti del sapere

Chi si occupa di selezione del personale conosce molto bene l’irrefrenabile impulso della maggioranza dei candidati a presentarsi come persone di multiforme ingegno: «Attualmente rivesto il ruolo di x, ma le competenze acquisite mi mettono nelle condizioni di occuparmi anche di y. Ho maturato esperienze qualificate e importanti in ambito z». Questo atteggiamento «tuttologico» è ben visibile in tutte le vetrine professionali: curriculum, lettere di presentazione, profili Linkedin, colloqui di lavoro. È frutto di una combinazione di fattori diversi. Da un lato sopravvalutiamo le nostre capacità, dall’altro ci lasciamo dominare dall’ansia di «andar bene» a tutti i costi, immaginando che promuovendo la nostra polivalenza le opportunità si moltiplichino.
Soprattutto spesso e volentieri non riusciamo a rispondere ad alcune domande fondamentali: in quale ambito professionale senti di essere davvero «speciale»? Qual è lo spazio lavorativo dove ciò che sai fare bene si coniuga con ciò che ti piace fare e con ciò di cui gli altri hanno bisogno? Sono davvero in pochi a saper rispondere con precisione e fermezza a questo tipo di sollecitazione. La conseguenza è che oscilliamo al vento delle opportunità e ci ritroviamo a candidarci la sera per un ruolo amministrativo, e la mattina dopo per un ruolo commerciale, magari riadattando alla meglio il CV.
Quando adottiamo questo tipo di approccio alla ricerca di un nuovo lavoro evidentemente perdiamo la capacità di metterci nei panni di chi valuterà le nostre candidature.

Evidentemente nel mondo del lavoro esiste un malinteso relativamente al concetto di flessibilità, una parola molto amata nel mondo delle risorse umane. Compare in quasi tutti gli annunci, è sulla bocca di tutti i manager, spadroneggia nel 99% dei curriculum. Ma flessibilità non significa avere più identità. Significa al contrario avere un’identità molto precisa che tuttavia possiamo adattare all’occorrenza. La differenza tra le due interpretazioni è sottile ma sostanziale: sono un centrocampista che all’occorrenza può adattarsi a fare il terzino o la mezza punta. Questo non significa che io sia insieme un centrocampista, un terzino e una mezza punta.
Molti organizzano male il proprio progetto di ricerca di un nuovo lavoro perché antepongono la riflessione sul mercato alla riflessione su se stessi. Non partono dalla domanda «qual è la mia identità professionale?», ma dalla domanda «cosa cerca il mercato»? Se quindi la «variabile guida» sono gli altri finiamo con il perderci in una battaglia impossibile per assomigliare a tutti i costi a ciò che gli altri desiderano.

Fonte: ilSole24ore

11Feb

Priorità HR nel 2021 secondo Gartner

Il sondaggio di Gartner 2021 HR Priorities Survey sulle priorità HR, condotto su oltre 750 leader HR globali, ha rilevato che per il 68% degli intervistati la creazione di skill e competenze critiche è la priorità numero uno per il prossimo anno. Il sondaggio, condotto da giugno ad agosto 2020, ha anche rivelato che altre priorità per il 2021 sono: progettazione organizzativa e gestione del cambiamento , futuro del lavoro ed esperienza dei dipendenti .
«Sulla scia della pandemia di COVID-19 i leader delle risorse umane si stanno allontanando dalla gestione delle crisi per concentrarsi su ciò che renderà le loro organizzazioni forti, sia oggi che in futuro, compreso avere le giuste capacità e competenze, costruire resilienza e avere un forte team di leader» ha affermato Mark Whittle, vicepresidente della consulenza HR di Gartner.

Adottare un nuovo approccio alla riqualificazione

Le organizzazioni devono adottare un approccio dinamico alla riqualificazione e ridistribuzione dei talenti in cui tutte le parti interessate lavorino insieme per trovare modi per sviluppare le competenze al momento del bisogno. Attualmente, solo il 21% dei leader delle risorse umane afferma che i colleghi condividono la responsabilità o collaborano con le risorse umane per determinare le future esigenze di competenze. Un approccio dinamico alla riqualificazione consente una più rapida identificazione delle esigenze di competenze.
«I leader delle risorse umane devono concentrarsi su una progettazione del lavoro orientata al futuro che elimini l’attrito sul lavoro che frustra i dipendenti oggi e consente ai dipendenti di essere reattivi, in sincronia con le esigenze dei clienti, in grado di anticipare i cambiamenti in tali esigenze e in grado di adattare il loro approccio e le attività di conseguenza», ha detto Whittle.

Risolvere i problemi legati alla leadership

Più di un terzo dei leader delle risorse umane intervistati da Gartner riferisce che i processi di gestione della successione non producono i leader giusti al momento giusto, mentre solo il 44% dei dipendenti afferma di fidarsi dei leader e dei manager della propria organizzazione per affrontare bene una crisi.
La fiducia nella leadership è anche minata dalla mancanza di diversità, poiché quasi il 50% dei leader delle risorse umane riferisce che la leadership della propria organizzazione non è diversificata. Le organizzazioni che implementano programmi di networking sulla diversità hanno una probabilità 3,4 volte maggiore di dichiarare di essere efficaci nell’aumentare le opportunità di mobilità dei talenti.

Promuovere l’esperienza dei dipendenti nello scenario di forza lavoro ibrida di oggi

L’esperienza dei dipendenti è diventata un argomento sempre più importante per le risorse umane, tanto che il 31% dei Chief Human Resources Officer riferisce che l’esperienza dei dipendenti è una priorità, così come il 46% dei responsabili della diversità, equità e inclusione . La creazione di un’esperienza coerente per i dipendenti è stata resa più impegnativa dalla forza lavoro ibrida di oggi a seguito della pandemia COVID-19.

08Feb

La classifica dei paesi più complessi nella gestione HR

L’Italia si colloca al 25esimo posto nell’ultima analisi relativa alla complessità delle risorse umane e delle retribuzioni stilata da TMF Group, multinazionale specializzata nella fornitura di servizi professionali alle imprese.
L’analisi «HR & Payroll: Navigating complex requirements in turbulent times», ha esaminato 77 diverse giurisdizioni, classificandole in termini di complessità dei rispettivi ambienti di gestione delle risorse umane e delle retribuzioni. Nel farlo ha tenuto conto di diversi parametri quali, per esempio, l’erogazione di stipendi e dei benefit fra gli impiegati assunti a livello temporaneo e quelli a tempo indeterminato e la difficoltà relativa alle procedure di assunzione e/o licenziamento dei dipendenti secondo la legislazione del lavoro in vigore in ciascuna giurisdizione.
Mentre il Belpaese è al 25esimo posto a livello globale, la Francia è al quinto posto, ovvero la seconda giurisdizione più complessa d’Europa.
Le complessità derivanti dalla disciplina giuslavoristica italiana, quali, per esempio, aumenti automatici e obbligatori degli stipendi, congedi di paternità retribuiti e contributi del datore di lavoro per il fondo pensione, influiscono in maniera importante sul posizionamento del nostro Paese all’interno della classifica. Un’ulteriore causa è la durata del preavviso necessario per il licenziamento di un dipendente scarsamente produttivo: in Italia sono necessarie circa 25 settimane, mentre Paesi come Regno Unito, Irlanda e Paesi Bassi richiedono un massimo di sole tre o quattro settimane.
La classifica TMF Group si apre con il Belgio, la più complessa delle giurisdizioni esaminate. Le ragioni sono dovute in gran parte alle differenze linguistiche e normative tra le varie regioni del Paese. Oltre alla necessità che i documenti di assunzione riflettano le tre lingue nazionali, non esiste un allineamento dei contratti di lavoro per gli stessi tipi di lavoro tra le tre aree linguistiche, anche all’interno delle stesse categorie professionali nella stessa regione. Dopo il Belgio, le quattro giurisdizioni più complesse sono la Malesia, la Cina, la Bolivia e la Francia.

03Feb

Risorse umane 2021: 5 possibili tendenze

Il 2021 sarà l’anno in cui le aziende avranno l’opportunità di ripensare e ottimizzare la gestione delle risorse umane dalla A alla Z, sviluppare nuove strategie di selezione e investire su nuovi strumenti di selezione e siti per la gestione delle smart career.

Modelli di lavoro remoti e ibridi verranno mantenuti

Una tendenza che è già molto evidente sin dal 2020 e sarà indispensabile nei prossimi anni: i modelli di lavoro remoti e ibridi. In futuro, molte attività saranno svolte tra le sedi aziendali e le case dei dipendenti.
I confini tra luoghi fisici e luoghi virtuali diventeranno sempre più labili, ciò significa che i dipendenti non saranno più legati ad una sede fisica.

Video colloqui per la selezione e la gestione delle risorse umane

Sebbene i tool di video colloqui on-demand non siano un’invenzione così recente, hanno acquisito nuova importanza grazie alla pandemia. Lo dimostra il numero di inviti a video colloqui inviati, che è aumentato del 330% a settembre 2020 rispetto a settembre 2019.
Gli strumenti di video colloqui on-demand sono versatili e offrono vantaggi competitivi nell’acquisizione di talenti. Rispetto al tradizionale «colloquio telefonico», i video colloqui sono adattabili nel tempo e nello spazio e richiedono una minor pianificazione.
In questo modo, i candidati possono rispondere alle domande quando preferiscono e i recruiter possono visualizzare le risposte nel momento più adatto.

Selezione e onboarding con intelligenza artificiale

I tool basati sull’intelligenza artificiale aiuteranno i team di gestione delle risorse umane nel 2021 a cercare, valutare e selezionare i candidati associando in modo oggettivo i dati forniti alla rispettiva posizione lavorativa con il fine di prevedere i candidati più adatti. Inoltre, cosa ancora più importante, i responsabili delle risorse umane possono programmare gli strumenti di selezione basati sull’intelligenza artificiale per ignorare informazioni demografiche come etnia, età e sesso.
Questo permette di promuovere la diversità di un’azienda e garantisce che a tutti i candidati vengano date le stesse possibilità. Ciò aiuta anche a minimizzare i pregiudizi umani, spesso subconsci, che possono influenzare il processo di selezione.
Un’altra tendenza che sta diventando sempre più popolare è la realtà virtuale.

Chatbot e Robotic Process Automation in crescita

I chatbot e la Robotic Process Automation npossono essere sempre più utilizzati per facilitare il lavoro dei team HR nel 2021 in modo che possano concentrarsi su attività con maggior valore.
Ad esempio, una volta che un nuovo dipendente è stato assunto, gli RPA possono aggiornare automaticamente il sistema di tracciabilità dell’applicazione, creare un nuovo database del dipendente e raccogliere i documenti necessari.
I chatbot, d’altra parte, possono aiutare nella fase di onboarding di nuovi dipendenti.

Sviluppo delle competenze interne

Come risultato delle mutevoli esigenze e dei requisiti aziendali, della mancanza di talenti e della ristrutturazione interna, sempre più CEO e team di gestione risorse umane si stanno concentrando sullo sviluppo delle competenze dei propri dipendenti per soddisfare i nuovi bisogni nel 2021.
Per le aziende, le strategie di apprendimento e sviluppo stanno quindi diventando una priorità assoluta al fine di sviluppare competenze fondamentali, tra cui i soft skill e le competenze digitali.

 

Vedremo cosa ci riserva il 2021, quel che è certo è che le tendenze sembrano tracciate sulla spinta di un 2020 turbolento, che ha accelerato visioni del futuro del lavoro e l’adozione di tecnologie digitali su vasta scala

28Gen

Competenze digitali dalla Capgemini Research Institute

Il 60% delle organizzazioni presentano oggi le competenze digitali – e il 62% quelle di leadership – necessarie per implementare con successo un percorso di trasformazione digitale, in aumento rispetto al 36% registrato in entrambi gli ambiti nel 2018. È quanto emerge dal report Digital Mastery 2020: How organizations have progressed in their digital transformations over the past two years, condotto dal Capgemini Research Institute.
Per capire come le organizzazioni hanno sviluppato le loro competenze digitali negli ultimi due anni, Capgemini ha analizzato i punteggi medi in quattro categorie: talento e organizzazione, operations, innovazione del business model e customer experience . Rispetto al report del 2018 incentrato sulla digital mastery, l’edizione 2020 della ricerca ha evidenziato come, sebbene tutte le organizzazioni abbiano riportato progressi nei loro percorsi di trasformazione digitale, si stia allargando il divario tra i digital master – ovvero le aziende con un elevato livello di padronanza delle competenze digitali e di leadership – e i loro competitor. La pandemia di COVID-19 è stata un potente acceleratore di questa tendenza, dal momento che ha richiesto l’introduzione di cambiamenti con una certa urgenza, spingendo le aziende a diventare più convinte e ottimiste in merito alla maturità delle proprie competenze. Inoltre, dal 2018 in poi, le aziende hanno dedicato del tempo per valutare le sfide che ostacolano il successo del proprio percorso di sviluppo, aumentando i propri investimenti nella digital transformation e nell’adozione di tecnologie emergenti, oltre a porre maggior attenzione su aspetti relativi a talento e cultura.

Le iniziative per lo sviluppo di talento e cultura hanno la precedenza

La ricerca del 2018 rivelava che l’area relativa al capitale umano incontrava i maggiori ostacoli nel percorso di trasformazione digitale, in quanto molte organizzazioni non riuscivano a coinvolgere i dipendenti. Tuttavia, oggi sono sempre più numerose le organizzazioni in grado di coinvolgerli nelle loro iniziative digitali: nel 2020 il dato ha raggiunto il 63%, contro il 36% del 2018.

Dal report emerge che, se da un lato le organizzazioni devono fare attenzione a una serie di fattori come customer experience, operations e business technology, dall’altro devono anche tenere in considerazione la sostenibilità e la propria mission in senso generale, un fattore cruciale per clienti e dipendenti. I consumatori sono infatti sempre più preoccupati per l’impronta ambientale e l’impatto del cambiamento climatico e vogliono fare la differenza attraverso le proprie azioni, tanto che il 78% di loro si dichiara d’accordo sul fatto che le aziende abbiano un ruolo più importante nella società, che va oltre i loro interessi individuali. La ricerca di Capgemini ha inoltre evidenziato che attualmente solo il 45% delle organizzazioni sta accelerando gli investimenti, i progetti e l’impegno verso la sostenibilità.
Per progredire ulteriormente nel percorso di trasformazione digitale, il report raccomanda alle organizzazioni di reinventare l’employee experience, facendo leva su una forza lavoro fluida e garantendo ai dipendenti contratti sociali allineati con le necessità dell’era digitale.

30Ott

Psicologia di una Crisi (seconda parte – stati mentali)

Psicologia di una Crisi (seconda parte – stati mentali)

Articolo tradotto

Durante un disastro, le persone possono provare una vasta gamma di emozioni. Le barriere psicologiche possono interferire con la cooperazione e la risposta del pubblico. Chi comunica nella crisi dovrebbe aspettarsi determinati modelli di funzionamento, come descritto di seguito, e comprendere che questi modelli influenzano la comunicazione. Ci sono una serie di barriere psicologiche che potrebbero interferire con la cooperazione e la risposta del pubblico. Un comunicatore può mitigare molte delle seguenti reazioni riconoscendo questi sentimenti con le parole, esprimendo empatia ed essendo onesto.

Incertezza

Sfortunatamente, ci sono più domande che risposte durante una crisi, soprattutto nei primi momenti. Durante questo periodo di tempo, l’intera portata della crisi, la causa del disastro e le azioni che le persone possono intraprendere per proteggersi potrebbero non essere chiare. Questa incertezza sfiderà anche il più grande comunicatore.

Per ridurre la loro ansia, le persone cercano informazioni per determinare le loro opzioni e confermare o disconfermare le loro convinzioni. Possono scegliere una fonte di informazioni familiare rispetto a una fonte meno familiare, indipendentemente dall’accuratezza delle informazioni fornite. Possono scartare le informazioni che sono angoscianti o travolgenti.

A molti comunicatori e leader è stato insegnato a sembrare fiduciosi anche quando sono incerti. Sebbene questo possa ispirare fiducia, esiste un potenziale di eccessiva sicurezza, che può ritorcersi contro. È importante ricordare che l’obiettivo non è un pubblico troppo rassicurato: una dose sufficiente di preoccupazione, aiuta a restare vigili e a prendere tutte le giuste precauzioni.

Riconosci l’incertezza. Riconosci ed esprimi empatia per l’incertezza del tuo pubblico e condividi con loro il processo che stai utilizzando per ottenere maggiori informazioni sulla situazione in evoluzione. Questo aiuterà le persone a gestire la loro ansia. Sarebbe opportuno usare affermazioni del tipo: “Non posso dirti oggi cosa causa la morte così improvvisa delle persone nella nostra città, ma posso dirti cosa stiamo facendo per scoprirlo. Ecco il primo passo …

Dì loro:

  • Quello che sai.
  • Quello che non sai.
  • Quale processo stai utilizzando per ottenere risposte.

Anche se è auspicabile sperare in determinati risultati, spesso non è possibile promettere che si verificheranno. Invece di offrire una promessa al di fuori del proprio controllo assoluto, come “prenderemo le persone malvagie che hanno fatto questo“, si dovrebbe promettere qualcosa di cui si può essere certi che si potrà realizzare, come, ad esempio: “stiamo facendo di tutto per catturare i cattivi, o fermare la diffusione della malattia, o prevenire ulteriori danni causati dalle inondazioni“.

L’ex sindaco di New York City Rudolph Giuliani ha ragguardito: “Prometti solo quando sei positivo. Questa regola sembra così ovvia che non la menzionerei a meno che non vedessi i leader infrangerla regolarmente“. Un pericolo all’inizio di una crisi, specialmente se si è responsabili della risoluzione del problema, è promettere un risultato al di fuori del proprio controllo. Non va mai fatta una promessa, non importa quanto sincera, a meno che non sia in tuo potere assoluto mantenerla.

Paura, ansia e terrore

In una crisi, le persone della propria comunità possono provare paura, ansia, confusione e un intenso terrore. In quanto comunicatori, il lavoro non è cercara di far sparire questi sentimenti. Invece, si potrebbero riconoscere con una dichiarazione di empatia. Si possono usare affermazioni del tipo “non abbiamo mai affrontato nulla di simile prima nella nostra comunità e può essere spaventoso“.

La paura è un’importante considerazione psicologica nella risposta a una minaccia. Vanno tienuti a mente i seguenti aspetti della paura:

■ In alcuni casi, una minaccia percepita può motivare e aiutare le persone a compiere le azioni desiderate.

■ In altri casi, la paura dell’ignoto o la paura dell’incertezza possono essere le risposte psicologiche più debilitanti ai disastri e impedire alle persone di agire.

■ Quando le persone hanno paura e non dispongono di informazioni adeguate, possono reagire in modo inappropriato per evitare la minaccia. I comunicatori possono aiutare descrivendo una valutazione accurata del livello di pericolo e fornendo messaggi di azione in modo che le persone colpite non si sentono impotenti.

Disperazione e impotenza

Evitare la disperazione e l’impotenza è un obiettivo di comunicazione vitale durante una crisi.

La disperazione è la sensazione che nessuno possa fare nulla per migliorare la situazione. Le persone possono accettare che una minaccia sia reale, ma quella minaccia può incombere in modo così forte da far sentire la situazione senza speranza.

L’impotenza è la sensazione che le persone hanno di non avere il potere di migliorare la propria situazione o di proteggersi. Se una persona si sente incapace di proteggersi, può ritirarsi mentalmente o fisicamente.

Secondo la ricerca psicologica, se i membri di una comunità, durante una crisi, lasciano crescere in modo incontrollato i loro sentimenti di paura, ansia, confusione e terrore, inizieranno a sentirsi senza speranza o impotenti. Se ciò accade, essi saranno meno motivati ​​e meno capaci di intraprendere azioni di autotutela.

Invece di cercare di eliminare le risposte emotive di una comunità alla crisi, bisognerebbe aiutare i membri della comunità a gestire i loro sentimenti negativi impostandoli su una linea di condotta adeguata. Agire durante una crisi può aiutare a ripristinare un senso di controllo e superare i sentimenti di disperazione e impotenza. Aiutare le persone a sentirsi autonome e con il controllo di almeno alcune parti della propria vita può ridurre la paura.

Per quanto possibile, è opportuno consigliare alle persone di intraprendere azioni costruttive e direttamente correlate alla crisi che stanno affrontando. Queste azioni possono essere simboliche, come alzare una bandiera o preparatorie, come donare sangue o creare un piano familiare.

Negazione

La negazione si riferisce all’atto di rifiutare di riconoscere un danno imminente o un danno che si è già verificato.

La negazione si verifica per una serie di motivi:

■ È possibile che le persone non abbiano ricevuto informazioni sufficienti per riconoscere la minaccia.

■ Possono presumere che la situazione non sia così grave come è in realtà perché non hanno sentito gli avvertimenti più recenti, non hanno capito cosa è stato detto loro o hanno sentito solo una parte di un messaggio.

■ Possono aver ricevuto messaggi su una minaccia ma non hanno ricevuto messaggi di azione su come dovrebbero rispondere alla minaccia.

■ Possono ricevere e comprendere il messaggio, ma si comportano come se il pericolo non fosse così grande come gli viene detto. Ad esempio, le persone possono stancarsi di evacuare per minacce che si dimostrano innocue, il che può indurre le persone a negare la gravità delle minacce future.

Quando le persone dubitano che una minaccia sia reale, possono cercare ulteriori conferme. Con alcune comunità, questa conferma può comportare fattori aggiuntivi, come:

■ La necessità di consultare leader o esperti della comunità per opinioni specifiche (non sempre attendibili ndt).

■ Il desiderio di sapere prima come reagiscono gli altri.

■ La possibilità che il messaggio di avvertimento della minaccia sia così lontano dall’esperienza della persona che lui o lei semplicemente non riesce a capirlo o sceglie semplicemente di ignorarlo.

La negazione può, almeno in parte, essere prevenuta o affrontata con una comunicazione chiara e coerente da una fonte attendibile. Se il pubblico riceve e comprende un messaggio coerente da più fonti attendibili, sarà più probabile che creda a quel messaggio e agisca in base a esso.

E il panico?

Contrariamente a quanto si può vedere nei film, le persone raramente agiscono in modo completamente irrazionale durante una crisi. Durante un’emergenza, le persone assorbono e agiscono sulle informazioni in modo diverso dalle situazioni non di emergenza. Ciò è dovuto, in parte, al meccanismo di lotta o fuga.

La spinta naturale a intraprendere un’azione in risposta a una minaccia viene talvolta descritta come risposta di lotta o fuga. Le emergenze creano minacce alla nostra salute e sicurezza che possono creare grave ansia, stress e la necessità di fare qualcosa. L’adrenalina, un ormone primario dello stress, si attiva in situazioni minacciose. Questo ormone produce diverse risposte, tra cui aumento della frequenza cardiaca, vasi sanguigni ristretti e passaggi d’aria espansi. In generale, queste risposte migliorano la capacità fisica delle persone di rispondere a una situazione minacciosa. Una risposta è fuggire dalla minaccia. Se la fuga non è un’opzione o è esaurita come strategia, viene attivata una risposta al combattimento. Non si può prevedere se qualcuno sceglierà il combattimento o la fuga in una data situazione.

Queste reazioni razionali a una crisi, in particolare quando si trovano al limite della risposta di lotta o fuga, sono spesso descritte, dai media, erroneamente come “panico”. I funzionari possono essere preoccupati che le persone esperiscano collettivamente il “panico” ignorando le istruzioni ufficiali e creando caos, in particolare nei luoghi pubblici. Questo è improbabile.

Se le risposte ufficiali descrivono i comportamenti di sopravvivenza come “panico”, alieneranno le persone. Quasi nessuno crede di essere in preda al panico perché le persone comprendono il processo di pensiero razionale dietro le loro azioni, anche se quella razionalità è nascosta agli spettatori. Invece, i funzionari dovrebbero riconoscere il desiderio delle persone di adottare misure protettive, reindirizzarle alle azioni che possono intraprendere e spiegare perché il comportamento indesiderato è potenzialmente dannoso per loro o per la comunità. I funzionari possono fare appello al senso di comunità delle persone per aiutarle a resistere ad azioni indesiderate incentrate sulla protezione individuale.

Inoltre, la mancanza di informazioni o informazioni contrastanti da parte delle autorità rischia di creare maggiore ansia e disagio emotivo. Se si inizia a nascondere o nascondere le cattive notizie, si aumenta il ​​rischio di un pubblico confuso, arrabbiato e poco collaborativo.

Copertura mediatica della crisi e potenziali effetti psicologici

La maggior parte di noi tende ad avere reazioni psicologiche ed emotive più forti a una crisi se è provocata dall’uomo o imposta. Questi tipi di crisi tendono anche ad avere una maggiore visibilità mediatica. I media mostrano spesso immagini negative ripetute, come le seguenti:

■ Persone che stanno morendo o in difficoltà.

■ Persone a cui manca cibo e acqua .

■ Animali che sono stati abbandonati, feriti o coperti d’olio .

■ Paesaggi, come edifici crollati, case allagate o petrolio che galleggia sull’acqua.

Coloro che sono indirettamente colpiti dalla crisi attraverso l’esposizione dei media possono personalizzare l’evento o vedersi come potenziali vittime. Ad esempio, l’11 settembre 2001, gli adulti hanno guardato una media di 8,1 ore di copertura televisiva e i bambini hanno guardato una media di 3,0 ore. Diversi studi mostrano che la quantità di tempo trascorsa a guardare la copertura televisiva e il contenuto grafico degli attacchi a l’11 settembre è stato associato con un aumento del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e dei sintomi di depressione clinica. Questo era vero anche per coloro che erano lontani dai luoghi del disastro (tramuatizzazione vicaria mediata ndt). Inoltre, coloro che sono stati direttamente colpiti dagli attacchi e hanno guardato più copertura televisiva avevano tassi più elevati di sintomi di disturbo da stress post-traumatico e depressione rispetto a quelli che non lo hanno fatto.

Mentre pianifichi la tua strategia di comunicazione, ricorda che anche le persone non direttamente colpite da un’emergenza possono avere notevoli effetti psicologici. La comunicazione mirata a loro dovrà inoltre utilizzare principi di comunicazione del rischio di emergenza e di crisi.


Fonte: C.D.C., (2019, update), “CERC: Psychology of a Crisis“, U.S. Department of Health & Human Services

20Ago

Lavoro isolato: proteggi chi lavora da solo

Alcune indicazioni, con un doppio punto di vista (sia da parte del datore che del lavoratore), per proteggere chi si trova a lavorare da solo. Mai come in questo periodo è prioritario mettere in campo azioni semplici ma efficaci per tutelare la salute e la sicurezza di chi lavora in “smartworking”. Non solo, forse è necessario riflettere maggiormente su chi si è sempre trovato a dover lavorare in isolamento a causa delle caratteristiche del lavoro stesso.

1. Panoramica

In qualità di datore di lavoro, devi gestire tutti i rischi per la salute e la sicurezza prima che le persone possano lavorare da sole. Questo vale per chiunque abbia un contratto nei tuoi confronti, compresi i lavoratori autonomi.

I lavoratori isolati sono quelli che lavorano da soli senza una supervisione stretta o diretta, ad esempio:

  • come autisti, operatori sanitari o ingegneri:
  • come personale di sicurezza o addetto alle pulizie;
  • nei magazzini o nelle stazioni di servizio;
  • da casa.

Ci saranno sempre maggiori rischi per i lavoratori isolati senza supervisione diretta o per chiunque li aiuti se le cose vanno male. Molti di loro sono esposti a rischi stradali legati al lavoro.

2. Gestisci i rischi del lavorare da solo

Ai sensi della normativa sulla gestione della salute e sicurezza sul lavoro, è necessario gestire il rischio per i lavoratori isolati (n.b.: accertati sempre di fare riferimento alla versione più aggiornata della legge di riferimento del tuo paese).

Pensa a chi sarà coinvolto e quali pericoli potrebbero danneggiare chi lavora da solo.

Cosa devi fare:

  • formare, supervisionare e monitorare i lavoratori isolati;
  • tenersi in contatto con loro e rispondere a qualsiasi incidente.

Quando un lavoratore isolato si troverà sul posto di lavoro di qualcun altro, è necessario chiedere a tale datore di lavoro eventuali rischi e misure di controllo per assicurarsi che siano protetti.

Rischi da considerare

I rischi che colpiscono particolarmente i lavoratori isolati includono:

  • violenza sul posto di lavoro;
  • stress e salute mentale o benessere;
  • l’idoneità medica di una persona per lavorare da sola;
  • il luogo di lavoro stesso, ad esempio se si trova in una zona rurale o isolata.

Lavoro ad alto rischio

Alcuni lavori ad alto rischio richiedono almeno un’altra persona. Questo include il lavoro:

  • in uno spazio ristretto, dove potrebbe essere necessario un supervisore, insieme a qualcuno con un ruolo di soccorso;
  • vicino a conduttori di elettricità sotto tensione;
  • nelle operazioni di immersione;
  • nei veicoli che trasportano esplosivi;
  • nei luoghi esposti a fumigazione.

Lavorare da casa

Hai le stesse responsabilità in materia di salute e sicurezza per i lavoratori a domicilio e la stessa responsabilità per incidenti o infortuni degli altri lavoratori.

Ciò significa che è necessario fornire supervisione, istruzione e formazione, nonché implementare misure di controllo sufficienti per proteggere il lavoratore a casa.

3. Violenza

Il lavoro isolato non sempre significa un rischio maggiore di violenza, ma rende i lavoratori più vulnerabili a essa. La mancanza di supporto nelle vicinanze rende più difficile per loro prevenire un incidente.

L’Health and Safety Executive (HSE) definisce la violenza come “qualsiasi incidente in cui una persona viene abusata, minacciata o aggredita in circostanze relative al proprio lavoro“, comprese le minacce verbali.

Alcuni dei principali rischi di violenza sul posto di lavoro includono:

  • lavoro in tarda serata o la mattina presto, quando sono presenti meno lavoratori;
  • lavoratori isolati, come il personale di sicurezza, che hanno autorità sui clienti e applicano le regole;
  • persone affette da alcol o droghe;
  • trasportare denaro o attrezzature di valore.

Supporto e formazione

Mettere in atto misure per sostenere qualsiasi lavoratore che abbia subito violenze. I lavoratori possono fare la loro parte identificando e segnalando gli incidenti.

La formazione in materia di sicurezza personale o prevenzione della violenza aiuterà i lavoratori:

  • riconoscere le situazioni in cui si sentono a rischio;
  • utilizzare tecniche di risoluzione dei conflitti o avere la possibilità e il supporto per (n.d.r.) lasciare il posto di lavoro.

Impatto della violenza e come prevenirla

L’impatto della violenza può portare a lesioni fisiche e stress da lavoro, che possono avere effetti gravi e a lungo termine sulla salute fisica e mentale dei lavoratori.

La violenza può anche portare a un elevato turnover del personale, bassa produttività e danni alla reputazione aziendale.

4. Stress e altri fattori di salute

Stress, salute mentale e benessere

Il lavoro da soli può causare stress da lavoro e influire sulla salute mentale delle persone.

Gli standard di gestione dello stress di HSE includono l’importanza delle relazioni con e del supporto di altri lavoratori.

Essere lontani da manager e colleghi potrebbe rendere difficile ottenere un supporto adeguato.

Restiamo in contatto

Mettere in atto procedure che consentano il contatto diretto con il lavoratore isolato in modo che il suo manager possa riconoscere i segni di stress il prima possibile.

Se il contatto è scarso, i lavoratori possono sentirsi scollegati, isolati o abbandonati. Ciò può influire sulle loro prestazioni e potenzialmente sui livelli di stress e sulla salute mentale.

Ciò può tradursi anche nell’affidarsi a esperti esterni (psicologo del lavoro), in presenza o tramite sportelli di supporto dedicati (n.d.r.)

Lavorare da solo con una condizione medica

Se, come datore, non sei sicuro che le condizioni di salute di qualcuno indicano che è sicuro lavorare da solo, consulta preventivamente il medico del lavoro o un medico. Pensa sia al lavoro di routine che alle possibili emergenze che possono imporre ulteriori oneri fisici e mentali al lavoratore isolato.

Pronto soccorso ed emergenze

Metti in atto procedure di emergenza e forma i lavoratori isolati su come utilizzarle.

La tua valutazione del rischio potrebbe indicare che i lavoratori isolati dovrebbero:

  • trasportare attrezzature di primo soccorso;
  • ricevere una formazione di primo soccorso, compreso come usare il primo soccorso su se stessi;
  • avere accesso ad adeguate strutture di pronto soccorso.

Le procedure di emergenza dovrebbero includere indicazioni su come e quando i lavoratori isolati dovrebbero contattare il loro datore di lavoro, compresi i dettagli di eventuali numeri di contatto di emergenza.

Monitorare la salute dei lavoratori solitari

Alcuni lavoratori isolati possono avere rischi specifici per la loro salute. Ad esempio, i conducenti di mezzi pesanti solitari hanno elevate esigenze fisiche e mentali a loro carico, con lunghi periodi al volante. È necessario monitorare la loro salute e adattare il lavoro dei conducenti per tenere conto di eventuali esigenze di salute specifiche.

5. Formazione, supervisione e monitoraggio

Formazione

È più difficile per i lavoratori isolati ricevere aiuto, quindi potrebbero aver bisogno di ulteriore formazione. Questa, dovrebbero comprendere eventuali rischi nel loro lavoro e come controllarli.

La formazione è particolarmente importante:

  • dove c’è una supervisione limitata per controllare, guidare e aiutare in situazioni incerte;
  • nel consentire alle persone di far fronte a situazioni inaspettate, come quelle che coinvolgono la violenza.

Dovresti stabilire dei limiti su ciò che può essere fatto mentre si lavora da soli. Assicurati che i lavoratori siano:

  • competenti per affrontare i requisiti del lavoro;
  • addestrati all’uso di qualsiasi soluzione tecnica;
  • in grado di riconoscere quando dovrebbero ricevere supporto.

Supervisione

Basa i tuoi livelli di supervisione sulla valutazione del rischio: maggiore è il rischio, maggiore sarà la supervisione di cui avranno bisogno. Ciò dipenderà anche dalla loro capacità di identificare e gestire i problemi di salute e sicurezza.

La quantità di supervisione dipende da:

  • i rischi coinvolti;
  • la capacità dei lavoratori di identificare e gestire problemi di salute e sicurezza.

All’inizio è una buona idea che un nuovo lavoratore sia supervisionato se:

  • è in fase di addestramento;
  • deve svolgere un lavoro con rischi specifici;
  • deve affrontare nuove situazioni.

Monitoraggio e mantenersi in contatto

E’ opportuno monitorare i propri lavoratori isolati e restare in contatto con loro. Assicurati che comprendano tutti i sistemi e le procedure di monitoraggio che utilizzi. Questi possono includere:

  • il “quando” i supervisori dovrebbero visitare e osservare i lavoratori isolati;
  • il “dove”: ovvero sapere dove si trovano i lavoratori isolati, con contatti regolari a intervalli prestabiliti, utilizzando telefoni, radio, e-mail, ecc
  • altri dispositivi per dare l’allarme, azionati manualmente o automaticamente;
  • un sistema affidabile per garantire che un lavoratore isolato sia tornato alla propria base una volta completato il proprio compito.

Testare regolarmente questi sistemi e tutte le procedure di emergenza per garantire che i lavoratori isolati possano essere contattati se viene identificato un problema o un’emergenza.

Quando la prima lingua dei lavoratori non è la lingua madre parlata in azienda

I lavoratori isoalti, al di fuori della propria nazione, possono incontrare rischi non familiari, in una cultura del lavoro molto diversa da quella del proprio paese.

È necessario assicurarsi che abbiano ricevuto e compreso le informazioni, le istruzioni e la formazione necessarie per lavorare in sicurezza.


6. Lavoratori isolati: la vostra salute e sicurezza

Sei un lavoratore isolato se lavori da solo senza una supervisione stretta o diretta.
Cosa deve fare il tuo datore di lavoro.

Il tuo datore di lavoro ha doveri specifici per proteggerti come lavoratore isolato. Questo vale anche se lavori per loro come appaltatore, libero professionista o lavoratore autonomo.

Cosa devi fare

Come ogni lavoratore, devi prenderti cura della tua salute e sicurezza e di quella degli altri che potrebbero essere danneggiati dalle tue azioni sul lavoro.

Devi collaborare con i tuoi datori di lavoro e altri lavoratori per aiutare tutti ad adempiere ai propri doveri previsti dalla legge.

Scopri se la legge sulla salute e la sicurezza si applica anche se sei un lavoratore autonomo.

Come segnalare eventuali dubbi

Se sei preoccupato per i rischi per la salute e la sicurezza per te come lavoratore isolato, parla con:

  • il tuo datore di lavoro
  • un manager o un supervisore
  • un rappresentante per la salute e la sicurezza
  • uno psicologo del lavoro (n.d.r.)
06Mag

STRESS E RIENTRO SUL POSTO DI LAVORO NELLA FASE 2 COVID-19

La prestigiosa rivista medica JAMA, in un suo articolo recente “The Mental Health Consequences of COVID-19 and Physical Distancing. The Need for Prevention and Early Intervention” , ha evidenziato che il distanziamento sociale prolungato potrebbe portare a dover affrontare problemi psicologici importanti[1], come la cosiddetta Sindrome da Stress post-traumatico così come anche accentuati problemi di ansia, depressione e abuso di sostanze. Il punto di partenza è che ad oggi non sono presenti in letteratura studi corposi riguardo l’isolamento sociale prolungato, tuttavia sono presenti dati piuttosto consistenti relativamente agli effetti psicologici delle calamità o periodi di crisi su vasta scala. È qui che si inserisce sicuramente la fase 2 della crisi COVID-19, ovvero in un momento dove si avvertono le minacce e le conseguenze dello stop, seppur temporaneo, delle attività economiche.
La sindrome da stress post traumatico, definita anche come disturbo o letteralmente disordine (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD) è un quadro sintomatico specifico, riconoscibile ed è inserito nei manuali diagnostici. Si tratta appunto di qualcosa che si manifesta in conseguenza a una lunga esposizione allo stress postraumatico, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte o più semplicemente una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
Guardando alla sintomatologia si possono riconoscere delle caratteristiche distintive, infatti si parla di:
● Immagini, pensieri, o percezioni, talvolta incubi e sogni spiacevoli.
● Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando.
● Disagio psicologico intenso o forte reattività fisiologica all’esposizione verso fattori scatenanti interni o esterni che richiamano o assomigliano agli elementi dell’evento traumatico.
● Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale.
● Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
● Irritabilità o scoppi di collera.
● Difficoltà a concentrarsi.
● Ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.
Come si può notare si tratta di sintomi molto trasversali che spesso possono dare l’impressione di essere legate a situazioni più contingenti, si pensi alla difficoltà a concentrarsi, all’ipervigilanza e all’irritabilità.
Tutto ciò potrà essere presente anche sul posto di lavoro, ricollegandosi anche ad altri fenomeni come l’assenteismo, maggiori richieste di malattia, maggior irritabilità, fenomeni violenti e anche a uno “strano” disagio diffuso.

Bisogna in ogni caso sottolineare che la Fase 2 della gestione della crisi COVID-19 è una condizione nella quale la crisi sanitaria non è del tutto superata e con la quale bisognerà convivere ancora per un tempo indefinito. Questo per indicare che esiste una condizione di “convivenza forzata” con il problema del contagio, fungendo ovviamente da stimolo ansiogeno.
Per poter gestire efficacemente il rientro e la riapertura delle attività lavorative in sicurezza è necessaria una consapevolezza sia sul piano individuale, sia su quello organizzativo dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro. Ricordiamo che i rischi psicosociali derivano da inadeguate modalità di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro e da un contesto lavorativo socialmente mediocre e possono avere conseguenze psicologiche, fisiche e sociali negative, come stress, esaurimento o depressione connessi al lavoro[2] .
Infatti è possibile intervenire o creare un insieme di strategie per limitare gli effetti stressogeni che la situazione si porta appresso per sua natura, ed anche gestire efficacemente le situazioni di stress individuale e organizzativo che ne derivano.
Vediamo alcune semplici indicazioni che possono essere da stimolo-guida all’interno delle organizzazioni per supportare il benessere psicologico al suo interno.

1. Aumentare la comunicazione interna
Informare i collaboratori e condividere le strategie adottate per impedire il contagio all’interno dell’azienda. Questo è un primo passo per lenire l’ansia da ritorno, ma non solo poiché lavorare sulla comunicazione interna ha dei vantaggi molteplici: creare e/o rinforzare un sistema efficace ed efficiente di trasmissione delle informazioni (sia in termini di mezzi che di contenuti) assicurandosi che il flusso comunicativo sia effettivamente recepito dai vari target; gestire le persone come veri e propri “clienti interni”; sviluppare la motivazione e la proattività individuale e di gruppo; migliorare le relazioni interne sviluppando il senso di appartenenza e fiducia; favorire l’approvazione e l’accettazione delle scelte aziendali da parte dei collaboratori; implementare una cultura e un clima di condivisione degli obiettivi comuni; gestire al meglio le situazioni di crisi management; ridurre la conflittualità[3] .

2. Identificare persone di responsabilità
Identificare una persona o un team che sia responsabile della comunicazione riguardo la sicurezza e la salute dei collaboratori e anche delle nuove modalità di lavoro. Questo rappresenta un primo livello di garanzia all’interno dell’impresa, in quanto va a identificare le persone chiave per una comunicazione interna efficace. Qualsiasi intervento in emergenza, e ricordiamolo le aziende sono in emergenza anche in Fase 2, presuppone l’individuazione dei leader di comunità, ovvero di quelle figure di riferimento riconosciuti da una certa comunità, con i quali interloquire per arrivare a tutta la comunità. Nel caso in questione, si dovrebbero identificare, all’interno del contesto aziendale, i leader comunicativi, ovvero quelle persone riconosciute informalmente come punti di riferimento a cui chiedere informazioni o notizie. Ciò renderebbe la comunicazione interna più fruibili e più accettata “dal basso”.

3. Avvalersi della collaborazione di uno o più professionisti esterni
Avere un punto di vista esterno facilita l’individuazione di quei punti critici che spesso risultano camuffati o sommersi. In questi casi i professionisti esterni possono “leggere” la realtà aziendale in modo più oggettivo in modo da intervenire più efficacemente, in base alle specifiche competenze. Ad esempio, spesso le difficoltà non vengono condivise all’interno dei gruppi di lavoro, specie se si tratta di disagi che hanno uno sfondo psicologico. Questi disagi spesso si manifestano come rabbia, frustrazione, svogliatezza e scarsa attenzione alla sicurezza.

4. Implementare strategie di gestione dello stress
Lo stress ha molteplici forme, sia fisiche che mentali, basti pensare ai turni di lavoro, ai rapporti con i colleghi, alle paure legate alla vicinanza fisica. Lo stress rientra nei rischi psicosociali presenti in azienda e l’esposizione prolungata a stimoli stressanti rappresenta un fattore potenziale di rischio per molte patologie, incluse quelle psichiatriche o cardiovascolari. Per questa ragione, prima che questo stato si cronicizzi in una forma “invalidante”, è importante mettere in atto azioni strategiche che possano ripristinare una condizione di equilibrio psicofisico e che possano darci la sensazione di aver recuperato il ‘controllo’ della situazione. Da alcuni studi si rileva che, rispetto ad altre situazioni di emergenza sanitaria come per esempio le catastrofi naturali, i fattori di rischio che possono contribuire ad accrescere lo stress psicofisico degli operatori durante un’epidemia sono proprio l’isolamento sociale, dovuto alle misure di distanziamento e quarantena o in alcuni casi alla discriminazione, e l’assenza del sostegno familiare a causa del pericolo di contagio[4].
La ripartenza nella Fase 2 presuppone un coinvolgimento attivo dei dipendenti nella progettazione di strategie efficaci per la gestione dello stress[5] : a) comunicare apertamente: invece di costringere i dipendenti a indovinare cosa potrebbe essere in serbo per loro, è opportuno essere assolutamente chiari sulle azioni strategiche da mettere in atto; b) condividere il dolore: se si stanno effettuando tagli per ridurre le perdite di posti di lavoro, è opportuno dare l’esempio e fare tagli che incidono anche sul quotidiano della dirigenza; c) ascoltare le idee dei dipendenti: è fondamentale chiedere ai dipendenti di esprimere le proprie idee, ciò migliorerà il clima e il commitment; d) rivedere tutte le opzioni (anche quelle meno convenzionali): prima di arrivare al licenziamento, sarebbe opportuno considerare tutte le opzioni, anche quelle non ovvie per ridurre i costi; e) agire in modo saggio: controllare ciò che avviene sia all’interno, sia all’esterno dell’azienda in modo da “anticipare i tempi” per riadattare in modo snello la propria idea di business.

In conclusione, le sfide imposte da questa pandemia ci stanno mostrando solo la punta dell’iceberg. Mai come ora è opportuno mantenere calma, analizzare le proprie risorse, riadattare i propri obiettivi e fare rete. L’emergenza è il caos che irrompe nel nostro cosmos, è la destrutturazione della rete, l’unico modo fattibile e sostenibile per affrontare il caos è rispolverare e valorizzare le competenze. Rinnovarsi, letteralmente innovarsi di nuovo, vuol dire apprendere cose nuove e ciò è possibile e fattibile solo se ci si rivolge alle competenze.

[1] https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2764404

2]https://osha.europa.eu/it/themes/psychosocial-risks-and-stress

[3] Cfr. Cocco, G. (2012) “La Comunicazione interna. Strategie e strumenti psicosociologici per le organizzazioni motivanti”. Il Mulino.

[4]https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-gestione-stress-operatori

[5]https://hbr.org/2020/03/the-coronavirus-crisis-doesnt-have-to-lead-to-layoffs

30Apr

DONNE & SMART WORKING AI TEMPI DELL’EMERGENZA SANITARIA

A causa dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 e del conseguente obbligo di rimanere in casa tutte le nostre abitudini sono state completamente stravolte. La precedente quotidianità è ormai uno sbiadito ricordo: nel giro di pochissimo tempo ci è stato imposto un cambiamento che ha coinvolto tutti gli aspetti delle nostre vite. Fra questi è il lavoro ad aver subito, per molti, una metamorfosi radicale. Solo alcuni lavoratori hanno potuto continuare la loro attività garantendo la continuità di alcuni servizi essenziali nonostante le numerose complicazioni. Altri invece, a causa dell’arresto forzato di alcune attività, non hanno avuto la possibilità di proseguire il loro lavoro, mentre solo alcuni hanno adottato il cosiddetto smart working per condurre ugualmente la loro professione.

 

In realtà, ciò che si è verificato per molti non ha coinciso con un vero e proprio smart working, quanto piuttosto con una sorta di telelavoro improvvisato con i mezzi a disposizione in queste circostanze. Sebbene già in molti abbiano una certa confidenza con questa modalità di lavoro, in alcuni casi le limitazioni tecnologiche e l’inesperienza rappresentano un autentico ostacolo. Lo smart working prevede infatti una vera e propria riorganizzazione del lavoro, che va ponderata e soprattutto organizzata con precisione. Avere un computer connesso in rete non equivale a operare in modalità smart working. Alla disorganizzazione e ai limiti tecnologici si aggiunge, inoltre, un’altra complicazione ovvero la convivenza forzata con i componenti del proprio nucleo familiare. Portare avanti il lavoro dalla propria abitazione se è affollata non è affatto semplice.
La questione coinvolge in particolar modo le donne lavoratrici poiché spesso sulle loro spalle grava, oltre all’obbligo professionale, l’impegno del funzionamento dell’intero sistema familiare. In altre parole generalmente una donna non si occupa solo del proprio lavoro, ma anche dell’organizzazione familiare e dell’economia domestica (per esempio la preparazione dei pasti e la cura della casa), ricoprendo un ruolo di responsabilità nei confronti degli altri membri della famiglia. Riuscire a gestire contemporaneamente tutte queste incombenze non è semplice; al contrario occorre un impegno notevole.
Valore D (associazione che si impegna per l’equilibrio di genere in Italia) ha indagato sul mondo del lavoro in Italia in questo periodo di emergenza sanitaria. “L’indagine #IOLAVORODACASA condotta su oltre 1300 lavoratori conferma che in questo periodo le aziende sono ricorse ad un uso massiccio dello smart working (oltre il 93% degli intervistati sta infatti lavorando da casa). Emerge quindi che, in questo periodo, 1 donna su 3 lavora più di prima e non riesce, o fa fatica, a mantenere un equilibrio tra il lavoro e la vita domestica. Inoltre la ricerca conferma che la responsabilità della cura familiare continua a gravare in prevalenza sulle donne.”
Nonostante le difficoltà è possibile agevolare questa situazione, mettendo in atto qualche accorgimento. Innanzitutto c’è la necessità di compiere una riorganizzazione, proprio come se la famiglia fosse una piccola azienda. Per prima cosa è necessario predisporre uno spazio fisico all’interno della propria abitazione che sarà delegato esclusivamente alla postazione lavorativa. Allo stesso modo ci sarà bisogno di comunicare ai familiari che determinati orari della giornata saranno destinati al lavoro e quindi eventuali richieste non impellenti dovranno attendere. Avere uno spazio sia fisico che temporale ben delineato da dedicare al lavoro aiuta a migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavorativa.
Si può rivelare conveniente instaurare una routine quotidiana: avere degli orari, seppur flessibili, da destinare al lavoro permette di dedicare altri momenti della giornata ai restanti impegni (per esempio la cura della casa, la preparazione dei pasti, ma anche il tempo da passare semplicemente in compagnia dei bambini e in generale dei propri familiari). In questo momento occorre inoltre considerare la possibilità di delegare ad altri alcune delle incombenze domestiche. Per esempio la chiusura delle scuole e la sospensione di molte attività, consente alle mamme di lasciare che siano i figli oppure i partner a occuparsi di alcune delle attività di gestione della casa. In questo modo aiuteranno a diminuire il carico di lavoro da svolgere attraverso un’occupazione temporanea.
Inoltre è importante affrontare la giornata lavorativa con entusiasmo, assicurandosi di avere un aspetto ordinato soprattutto nel caso in cui sia richiesta la presenza in videoconferenza. Allo stesso modo si rivela utile concedersi qualche piccola interruzione durante le ore destinate al lavoro: una pausa caffè o un breve cambio di attività faranno in modo che si torni alla postazione lavorativa con più energia.
Una volta riorganizzata la propria routine si può approfittare dei ritagli di tempo ottenuti per concedersi dei momenti in cui svolgere attività piacevoli che aiutino ad affrontare nel miglior modo possibile questo periodo. Si può scegliere di dedicare del tempo a un hobby, da praticare in autonomia o in compagnia, all’esercizio fisico o alle relazioni sociali. Tra le misure restrittive adoperate per fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto, infatti, il distanziamento sociale è sicuramente la più rilevante. È quindi molto importante il mantenimento dei rapporti sociali anche se in forma digitale: è vitale concedersi di tanto in tanto un “caffè virtuale” con amici o colleghi. Gli appuntamenti in rete sostituiscono gli incontri dal vivo e diventano un’opportunità per allentare la tensione di queste giornate.
Non è possibile prevedere con certezza come si evolverà l’attuale emergenza sanitaria e quali saranno le conseguenze sulle nostre abitudini, ma possiamo cercare di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e possiamo adattarci ai cambiamenti riorganizzando le nostre vite. 

Tutto ciò può essere riassunto in una sola parola: resilienza!

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